Molto spesso ci viene chiesto di rispondere a coniugi che intendono divorziare se a loro carico, o a loro favore, sia riconoscibile un assegno divorzile.
Su punto rispondiamo che con la recente sentenza della Suprema Corte n. 11504/2017 si è mutato radicalmente un indirizzo che ha caratterizzato i giudizi divorzili italiani degli ultimi decenni: infatti “mentre la precedente giurisprudenza poneva quale parametro di riferimento- al quale rapportare la adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi del richiedente (al fine di negare o riconoscere il diritto ad un assegno periodico) – nel tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, il nuovo indirizzo ritiene che il parametro di riferimento cui rapportare il giudizio di adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi del richiedente l’assegno di divorzio e sulla possibilità-impossibilità per ragioni oggettive dello stesso di procurarseli – vada individuato nel raggiungimento della indipendenza economica del richiedente: se è accertato che quest’ultimo è economicamente indipendente o è effettivamente in grado di esserlo, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto.[1]”
Viene così superata la giurisprudenza che faceva capo alle pronunzie degli anni “90 ancorate ad una concezione rigida e patrimonialistica del matrimonio, inteso come “sistemazione definitiva”, per valorizzare il cd. principio dell’autoresponsabiità economica[2] del singolo, sicchè il giudice divorzile, ove richiesto di disporre sull’assegno di cui al noto art. 5 della L. 898/70, dovrà svolgere una duplice indagine, la prima sull’an debeatur e la seconda, solo eventuale, sul quantum.
Nell’ambito della prima indagine, egli deve verificare alla luce del principio dell’autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi quali persone singole, se vi sia in capo all’eventuale richiedente un’oggettiva mancanza di mezzi adeguati, o comunque impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, con esclusivo riferimento alla indipendenza o autosufficienza economica dello stesso, desunta dai principali indici del possesso di redditi di qualsiasi specie e/o cespiti patrimoniali e immobiliari, delle capacità e possibilità effettive di lavoro personale (in relazione alla salute, età, al mercato del lavoro ecc.) nonchè alla stabile disponibilità di una casa di abitazione. Premesso dunque che il parametro “tenore di vita” non viene più considerato dalla Suprema Corte come un riferimento utile[3], v’è che solo in caso di accertamento positivo sull’an (ovvero, e in sostanza, di indigenza economica) si dovrà tener conto, in ordine al quantum debatur, di tutti gli elementi indicati nell’art.5 ovvero le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune, al reddito di entrambi e quindi valutare tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio. Al contrario, ove il giudizio sull’”an”, nei termini anzidetti, sortisca esito negativo, nessun altro parametro andrà in valutazione.
[1] Così in Guida al Diritto n. 23 del 27 maggio 2017, pag 25, in commento alla sentenza 11504/17.
[2] La Corte testualmente scrive sub 2.3: “Tale principio di “autoresponsabilità” vale certamente anche per l’istituto del divorzio, in quanto il divorzio segue normalmente la separazione personale ed è frutto di scelte definitive che ineriscono alla dimensione della libertà della persona ed implicano per ciò stesso l’accettazione da parte di ciascuno degli ex coniugi – irrilevante, sul piano giuridico, se consapevole o no – delle relative conseguenze anche economiche.
Questo principio, inoltre, appartiene al contesto giuridico Europeo, essendo presente da tempo in molte legislazioni dei Paesi dell’Unione, ove è declinato talora in termini rigorosi e radicali che prevedono, come regola generale, la piena autoresponsabilità economica degli ex coniugi, salve limitate – anche nel tempo – eccezioni di ausilio economico, in presenza di specifiche e dimostrate ragioni di solidarietà”.
[3] Vedasi sul punto quanto argomentato specificamente sub 2.1 (in fine) e sub 2.3 delle “ragioni della decisione” della citata sentenza della S.C. ove testualmente si legge: “2.3 Le precedenti osservazioni critiche verso il parametro del “tenore di vita” richiedono, pertanto, l’individuazione di un parametro diverso, che sia coerente con le premesse”
Il cambiamento di rotta sembrava storico, ma va rilevato che successivamente, con sentenza 18287/18 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, si è stabilito che il giudizio sul diritto ad ottenere l’assegno divorzile non si può basare esclusivamente sull’accertamento del criterio dell’autosufficienza economica, o sulla possibilità di procurarsi i mezzi. In particolare non si può prescindere dall’accertamento dell’eventuale incidenza degli indicatori concorrenti contenuti dell’art. 5 c. 6 della l. n. 898 del 1970 ed, in particolare, dal contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla conseguente formazione del patrimonio comune e personale dell’altro ex coniuge.
In buona sostanza un passo avanti e un mezzo passo indietro.
Lo studio è a disposizione per rendere eventuali chiarimenti e pareri sul punto a chi ne fosse interessato.